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Organizzato da AEFI (Associazione Esposizioni e Fiere italiane) e CFI (Agenzia di Confindustria per le fiere) si è tenuto, il 14 settembre scorso nella sede de Il Sole 24 Ore, un importante convegno dal titolo “Sistema Fiere: nuovi modelli per ripartire dopo la crisi e affrontare le sfide internazionali”.

Si sono alternati nelle relazioni e negli interventi molti presidenti e amministratori delegati delle più importanti società fieristiche italiane. La giornata è stata moderata da Laura La Posta, caporedattore de Il Sole 24 Ore.

Hanno aperto i lavori Ettore Riello, presidente AEFI e Gian Domenico Auricchio, presidente di CFI, sottolineando l’importanza delle fiere per le imprese italiane (rappresentano un giro d’affari di circa 60 miliardi di euro e attivano il 10% dell’export nazionale) e al contempo il loro stato di sofferenza. I problemi sono sempre quelli: disarticolata concorrenza tra i vari quartieri, mancanza di un coordinamento nazionale, scarso peso internazionale delle manifestazioni e assenza di attenzione da parte del mondo politico.

Le fiere e la politica

Riguardo alle problematiche legate all’internazionalizzazione delle fiere, tutti gli interventi del convegno hanno sottolineato il grave danno causato dal governo in carica con l’improvvisa soppressione dell’ICE (Istituto per il Commercio Estero) senza aver approntato una soluzione “ponte” che potesse consentire di affrontare senza gravi preoccupazioni il periodo di transito tra la chiusura dell’ICE e la nascita di un nuovo organismo.

Per affrontare i problemi legati ai quartieri e alle manifestazioni, nel convegno “Sistema Fiere” dello scorso anno, AEFI e CFI annunciavano insieme all’allora viceministro allo Sviluppo Economico, Adolfo Urso, la costituzione di un tavolo di coordinamento del sistema fieristico che avrebbe dovuto affrontare prioritariamente le problematiche legate alla certificazione, che oggi in Italia è voluttuaria, contrariamente all’estero dove l’80% delle fiere internazionali è certificata; la costituzione di un bollino di qualità che garantisca davvero quelle che sono nei fatti fiere internazionali e non solo sulla carta e infine la realizzazione di un calendario fieristico in grado di consentire l’ottimizzare degli sforzi evitando i contrasti e la concorrenza sleale tra i quartieri.

Come spesso accade in Italia tutto naufragò, anche per le note dimissioni di Adolfo Urso in conseguenza della scissione finiana dal PDL berlusconiano.

I temi dell’anno scorso sono stati riproposti, identici, nel convegno di quest’anno e ancora una volta la soluzione dovrebbe essere trovata grazie alla costituzione di un nuovo tavolo, attivato da AEFI e CFI e aperto a tutta la filiera (allestitori, trasportatori, albergatori, ecc.), in cui discutere dei problemi di cui si discute ormai da anni, con l’obbiettivo di trovare soluzioni, che si ricercano senza successo ormai da anni.

La fumata nera di Fiera Milano

Anche questa volta i presupposti di partenza non sono tra i migliori, infatti, concluse le relazioni di Riello e Auricchio, l’amministratore delegato di Fiera Milano, demolisce il neonato tavolo e le velleità di gestire in maniera coordinata il calendario fieristico e di certificare in qualche modo l’internazionalità o meno delle manifestazioni.

Rispetto al calendario e alla concorrenza tra le fiere, l’amministratore delegato di Fiera Milano pone un quesito chiave riguardante l’intima natura delle fiere italiane che non si capisce bene se debbano essere considerate delle imprese, come la loro forma giuridica di Spa vorrebbe, oppure degli strumenti di politica industriale.

Tale domanda è evidentemente retorica, quanto meno dal punto di vista dell’amministratore delegato di Fiera Milano, e la risposta che esso stesso si da è molto chiara: se la fiera è un’impresa deve generare profitto se è uno strumento di politica economica è un costo. Riguardo invece a certificazioni e bollini di internazionalità, in maniera molto chiara e diretta che “è il mercato che riconosce l’internazionalità di una fiera e non un politico che le conferisce un bollino.”

Infine l’amministratore delegato di Fiera Milano esce completamente dagli schemi quando individua come problema fondamentale il basso prezzo medio al metro quadro, circa 70 euro, applicato da molte fiere italiane, sferrando un duro attacco in particolare alla Fiera di Roma che accusa di fare prezzi bassissimi con la conseguenza di avere sempre bilanci disastrosi risanati ottenendo soldi dallo Stato.

Naturalmente, Mauro Mannocchi, presidente della Fiera di Roma, presente in qualità di relatore al convegno non ha fatto attendere la propria replica.

L’intervento di Mauro Mannocchi di Fiera di Roma

Quello che conta è che i manager, presidenti e amministratori delegati che dovrebbero trovare le soluzioni e individuare i “nuovi modelli di business per ripartire dopo la crisi e affrontare le sfide internazionali” non riescono nemmeno a trovarsi d’accordo su cosa sia una fiera: un’impresa a tutti gli effetti o uno strumento di politica industriale.

L’amministratore delegato di Fiera Milano è stato molto chiaro rispetto a quello che ne pensa Milano, ed è stato condiviso da Roberto Ditri, presidente di Fiera di Vicenza, altri presidenti presenti si sono schierati nel mezzo, mentre Ettore Riello ha invocato con forza l’intervento pubblico nel sistema fieristico:

non è vero che siamo imprese – ha spiegato a gran voce -, le proprietà delle fiere italiane sono di carattere pubblico. Non si può fare impresa se poi ci si deve confrontare e si deve rendere conto al sindaco o al presidente della regione o della provincia.

Come spesso accade hanno ragione tutti e quindi, al contempo, non ha ragione nessuno.

Un fatto è sotto gli occhi di tutti, soprattutto dalle aziende che sempre di più disertano le fiere, cioè che dal 2001 a oggi, da quando i vecchi enti fieristici passarono dal Ministero alle Regioni trasformandosi in Spa, l’ingerenza della politica sul sistema fieristico è diventata sempre più soffocante.

Le grandi società private che organizzavano fiere con un occhio ai bilanci e l’altro alle esigenze del mercato che rappresentavano (è l’espositore soddisfatto che fa la fortuna di una fiera) sono praticamente sparite e sostituite da società o uffici di gestione interni alle nuove Spa, guidate da dirigenti che hanno assunto i loro incarichi direttamente dalla politica, sempre alla ricerca di spazi in cui piazzare i propri uomini. Intendiamoci persone degnissime e di grande qualità ma, purtroppo, spesso con scarsa competenza e know how sullo specifico mercato fieristico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Expo 2015 è di Milano. Punto e basta

Per concludere un gustoso passaggio stimolato da Laura La Posta, la moderatrice che, prima che l’amministratore delegato di Fiera Milano lasciasse la sala non si è lasciata sfuggire l’occasione per raccogliere qualche nuova informazione su Expo 2015. “Expo 2015 si farà a Milano – ha risposto con il sorriso sulle labbra l’amministratore delegato di Fiera Milano – non saprei cos’altro aggiungere se non cose banali e già sentite
Ci dica qualcosa di nuovo” lo ha quindi incalzato la giornalista
Che Expo 2015 si farà a Milano” ha risposto sornione alludendo alla varie perplessità emerse negli ultimi mesi sui ritardi nell’organizzazione e che hanno portato alcuni pessimisti a mettere addirittura in dubbio il fatto che Expo 2015 si potesse davvero tenere in Italia.

Ritiene che Expo 2015 sarà effettivamente un’importante opportunità?” ha poi chiesto Laura La Posta, ormai rassegnata a rinunciare allo scoop
Per Fiera Milano potrà essere un’opportunità economica molto importante.
E per gli altri?
No

Alla faccia dei tavoli di coordinamento.

Gelo tra i presidenti presenti in sala.

Nella foto in alto: da sinistra, il presidente AEFI, Ettore Riello e l’amministratore delegato Fiera Milano.

Settembre 2011

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