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QUELLO CHE SEGUE E’ IL CAPITOLO 1 DEL LIBRO “TIME OUT: UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA TV SATELLITARE, INTERNET E IL DIGITALE TERRESTRE TRA TECNOLOGIA, POLITICA E CONTENUTI”, SCRITTO DA MAURO MILANI NEL 2005.

Prima di entrare nel merito dei nuovi media per la comunicazione è opportuno descrivere, pur se sommariamente, l’ambiente in cui essi si devono muovere in Italia. La situazione è assolutamente particolare, infatti a fronte di una classe manageriale tendenzialmente disattenta e arretrata, corrisponde un pubblico sempre più evoluto e preparato.

Mentre nelle case degli italiani la presenza dei computer e delle nuove tecnologie è già una realtà e già si sta pensando alla nuova frontiera della domotica, nelle aziende la parola innovazione tecnologica, che ha un senso all’interno della fabbrica, non trova spazio negli uffici e nella cultura imprenditoriale e professionale.

Nell’ambito di un’interessante intervista di Giuseppe Turani ad Antonio Emmanueli, presidente di SMAU (la celebre manifestazione fieristica milanese), apparsa il 28 giugno 2004 sul quotidiano La Repubblica, si legge: “per quanto riguarda l’economia europea l’Italia sta diventando una specie di Toscana rispetto alla Milano del miracolo economico. Cioè un luogo di grandi memorie, di grande cultura, ma un po’ ai margini della crescita e dell’innovazione. Di fatto si sta creando un’asse che gira intorno a Belgio, Francia e Germania. E’ quest’area che sta diventando il cuore, il centro dell’Europa. Tutto il resto è periferia.“.

Proseguendo le parole di Emmanueli assumono un tono sempre più severo e Turani, da ottimo giornalista ed esperto quale è, lo incalza sull’arretratezza dell’Italia sul tema dell’innovazione. 

Purtroppo le cose stanno proprio così – continua Emmanueli -. I dati che si possono citare sono moltissimi e tutti molto interessanti. Quelli che mi colpiscono di più sono i dati relativi alla nostra presenza negli scambi mondiali. Ebbene, se oggi andiamo a prendere i tre settori che oggi fanno sviluppo nel mondo, e cioè chimica, mezzi di trasporto e Information Technology, scopriamo che la nostra presenza negli scambi mondiali è nell’ordine dell’1%, cioè del tutto irrisoria, marginale e inutile. Se invece andiamo a vedere i settori in declino o comunque non in crescita, che non fanno sviluppo, le cito solo le calzature e i mobili, allora siamo dei veri campioni. Le nostre quote nel commercio mondiale sono intorno al 14-15%. Insomma siamo forti dove non c’è sviluppo. Quando poi si vanno a fare i ragionamenti sul fatto che l’Italia non cresce come gli altri, bisogna anche tenere conto del fatto che siamo, appunto, forti dove non serve e debolissimi, quasi inesistenti dove invece ci sono la crescita e lo sviluppo.

In realtà l’attenzione di Emmanueli non è sulle grandi cose, ma sulle piccole applicazioni, oggi facilmente realizzabili e portatrici di un valore aggiunto straordinario.

Tempo fa sono stato in Ungheria (non negli Stati Uniti – n.d.r.) – racconta Emmanueli – e ho scoperto che là il parcheggio si paga semplicemente con il telefonino. Si manda un Sms e arriva l’addebito sul cellulare. I vigili addetti al controllo mandano il numero della targa a un loro centro e subito arriva la risposta: se il tipo ha pagato bene, in caso contrario scatta la contravvenzione. Qui da noi, a Milano, e dovremmo essere una città avanzata d’Europa, siamo ancora alla ricerca, magari di sera quando tutto è chiuso, di qualcuno che possa venderci una tessera per il parcheggio. Sono cose che fanno cadere le braccia.

Come dargli torto. Ma i manager italiani sono pigri e approcciare l’innovazione costa fatica, studio e applicazione, meglio nascondersi dietro grandi numeri per certificare uno sviluppo che, se si scava anche solo un minimo sotto la crosta non c’è.

Tutti i dati ci dicono che oltre il 90% delle aziende italiane posseggono un dominio internet e di queste oltre il 50% hanno un proprio sito in linea. Se consideriamo che l’Italia è il Paese della piccola e media impresa (secondo i dati ISTAT le aziende con 1-9 addetti sono circa 3,4 milioni) i dati sembrerebbero assolutamente lusinghieri. Se però si scava anche solo per un attimo si scopre che nell’84% dei casi il sito è semplicemente una presentazione aziendale, nella migliore delle ipotesi completata dal catalogo prodotti. Solo in un sito su venti è possibile interagire con l’azienda richiedendo informazioni sui prodotti o un contatto con i venditori. Solo l’11% delle aziende italiane hanno sentito parlare di e-marketplace (fonte: Osservatorio Net Economy del Mate).

Infine, la ciliegina sulla torta ce la offre Federcomin con il rapporto “Distretti Produttivi Digitali”, realizzato in collaborazione con RUR-Censis, dal quale emerge che qualche problema di diffusione nelle aziende italiane lo ha anche la posta elettronica, infatti nei distretti analizzati il suo impiego è  in lento sviluppo: a fronte di un numero di esperienze modeste e discrete, pari relativamente al 30% e al 35% dei casi analizzati, si registra un utilizzo elevato di questo strumento solo nel 23,5%.

Ciò che però è più preoccupante è che dalla citata indagine emerge che in realtà manca la volontà di sviluppare strategie e manca altresì una visione globale dello scenario relativa allo sviluppo tecnologico delle economie locali. Infatti, nel 2002, la pianificazione degli interventi tecnologici mirati a sviluppare progetti interaziendali e a fortificare logiche collaborative, riguardava solo il 5,3% delle aree distrettuali, oggi, a due anni di distanza, la situazione non appare sostanzialmente migliorata, leggermente si ma non sostanzialmente.

Presenze di strategie di sviluppo nei distretti produttivi fondate sull’uso delle nuove tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione

(Fonte: RUR-Censis/Federcomin – 2003)

 Stato di avanzamento delle strategie ICT aziendali Val. %
Non è stata elaborata alcuna strategia15.8
E’ ancora ad uno stato embrionale 27,6
E’ in corso di elaborazione 34,2
E’ stata definita una strategia unitaria complessiva 5,3
Esistono progetti ma privi di visione strategica unitaria 3,9
Non sa, non risponde 13,2
TOTALE 100

In questo contesto, quello che ancora una volta conferma l’ipotesi di pigrizia intellettuale e di mancanza di studio e di approfondimento da parte dell’attuale classe manageriale è il fatto che, come viene dettagliato dal Censis “a frenare la digitalizzazione delle imprese non sono i costi di investimento (44,7%) e quelli per la formazione delle risorse umane (42,2%) quanto, piuttosto, limiti di natura culturale. L’atteggiamento predominante nella maggioranza delle aziende è infatti improntato alla diffidenza reciproca e alla strenua difesa della propria autonomia“.

La conclusione è davvero poco confortante: “in questo contesto è evidente che il problema della faticosa digitalizzazione è più legato ai processi di aggregazione e di crescita del capitale intellettuale e meno alla bassa capacità di investimento delle Pmi“.

Ostacoli allo sviluppo di attività basate sull’uso condiviso di nuove tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione

(Fonte: RUR-Censis/Federcomin – 2003)

OstacoliMolto o
abbastanza
rilevante (%)
 Poco rilevante
(%)
Non sa
non risponde
(%)
Difficoltà a condividere
informazioni critiche
75,010,514,5
Impulso a conservare
autonomia di gestione
 73,713,113,2
Difficoltà a reperire
risorse umane qualificate
 59,229,011,8
Oneri di investimento
troppo elevati
44,739,515,8
Oneri per formazione
delle risorse umane
42,242,015,8

La sensazione è che per parlare di innovazione bisognerà aspettare e sperare le carriere dei giovani che oggi studiano all’Università e che, mi auspico, sapranno distinguere il valore della riservatezza aziendale dalla tutela dei cosiddetti “segreti di Pulcinella”. Su questo fronte i manager 40/60enni di oggi mi fanno tornare alla mente la mia nonna Gigia che, nata nel 1900, diffidava degli uomini troppo profumati adducendo con orrore che probabilmente di pulito avevano solo le mani e la faccia, ma che erano senz’altro usciti di casa senza farsi il bidet.

Su questo tema, frivolo ma non troppo, ricordo anche uno straordinario passaggio di una tavola a fumetti del maestro Andrea Pazienza che, poneva il suo personaggio, il giovane Zanardi (che oggi avrebbe giust’appunto qualche anno in più di 40), nel dubbio, prima di uscire con una ragazza, di farsi o meno il bidet. Il ragionamento era più o meno questo: “se ci sta, il bidet, accidenti, è necessario, ma se poi non ci sta io mi sono fatto il bidet per niente“.

Ecco perché ormai da parecchi anni alle varie tornate elettorali il mio voto è sempre andato a candidate donne.

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