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Ten DIY and Garden Ten: DIY and Garden

Io sono io e voi non siete un ca**o!

a cura di Bricoliamo.com Avatar photo

Il celebre motto pronunciato dal Marchese del Grillo per voce di un come sempre magistrale Alberto Sordi oggi non è più valida, è stata spazzata via dai social network e dalla possibilità di quelli che “non erano un ca**o” di acquisire un grande potere: quello di poter incidere, anche fortemente, sulla reputazione di una persona o di un’azienda.

La stima e la considerazione che i consumatori hanno di una marca va al di là delle caratteristiche di qualità o prezzo dei prodotti che propone, ma affonda le proprie radici nella percezione di serietà, correttezza, etica e rispetto del consumatore.

Sto parlando di reputazione, cioè di quell’aureola che, quando si riesce a costruire negli anni, con fatica e intelligenza, distingue una marca dalle altre fino a diventare un segno distintivo.

Prima dell’avvento dei social network le aziende avevano la possibilità di gestire e se necessario soffocare la diffusione di eventuali crisi derivanti da loro errori o da atteggiamenti scomposti o non propriamente etici.

Il consumatore non aveva strumenti di difesa, ne legali, per manifesta inferiorità e nemmeno mediatiche, per la difficoltà di convincere i direttori dei giornali o dei TG a prendere in considerazione la propria protesta, soprattutto quando l’azienda in questione era anche inserzionista, o potenziale tale della testata.

Con l’avvento dei social la situazione si è ribaltata e la corporate reputation che prima era nelle mani degli uffici stampa e comunicazione delle aziende, è passata nelle mani dei consumatori che con un solo post su Facebook, Twitter o Linkedin possono scatenare un putiferio creando danni che si possono trascinare per anni e che possono incidere, anche in maniera significativa, sul fatturato dell’azienda coinvolta.

Oggi trattare con sufficienza un cliente, disattendere alle promesse fatte o comunque avere comportamenti considerabili come poco etici può essere pericoloso.

Purtroppo, per mille motivi diversi, può accadere che nascano delle crisi tra azienda e cliente: la differenza rispetto a dieci anni fa è che oggi queste crisi devono essere gestite e possibilmente risolte, prima che la vittima scateni il putiferio nel suo social preferito e se questo dovesse comunque accadere, l’impegno per la gestione della crisi che diventa di dominio pubblico deve essere moltiplicato.

Non serve scappare, anzi spesso si peggiora la situazione, occorre affrontare il problema, spiegare, convincere e all’occorrenza anche chiedere scusa.

Per fare questo occorre che le aziende impieghino nella gestione della comunicazione internet le loro migliori intelligenze.

Fazi Editore vs Aaaron Westerberg

Vi racconto quanto è successo nei giorni scorsi, tra il 24 e il 25 gennaio. L’antefatto sembra molto semplice: la Fazi Editore (casa editrice con ottima fama in quanto editore di libri e autori di qualità) esce nell’ottobre 2016 con “Il Caso Maurizius”, un vero capolavoro letterario di Jacob Wasserman, pubblicato per la prima volta nel 1928. La Fazi Editore sceglie per la copertina del libro un’immagine molto suggestiva, si tratta di un’opera del pittore californiano Aaron Westerberg.

L’evento critico parte dal fatto che la Fazi Editore ha utilizzato l’immagine del quadro di Westerberg senza coinvolgere, avvertire e quindi tanto meno pagare un compenso all’autore, il quale però, due mesi dopo l’uscita del libro, nel dicembre 2016, scopre l’incauto utilizzo del suo quadro.

Ovviamente si rivolge alla Fazi Editore pretendendo un compenso ma, per quello che ci è dato conoscere, senza alcuna soddisfazione ed è così che alla mezzanotte (ora italiana) del 24 gennaio 2017 decide di scrivere un post sulla sua pagina Facebook riportando il post di lancio del libro (ripreso dalla pagina Facebook della Fazi Editore) e spiegando, senza mezzi termini ( … they are criminals that steal from artistsono criminali che derubano gli artisti) che per la copertina del libro era stato usato un suo quadro senza che fosse avvisato e pagato per questo.

Immediatamente il post di Westerberg si diffonde a macchia d’olio con condivisioni di migliaia di utenti e commenti davvero poco lusinghieri per la Fazi Editore.

Tant’è che 15 ore dopo, alle 3 del pomeriggio del 25 gennaio, la Fazi Editore è costretta a rispondere e lo fa tramite la propria pagina Facebook (“Da ieri sera siamo sommersi da messaggi di accuse e insulti …”).

Il problema è che lo fa inanellando una serie di errori di comunicazione che portano ad un ulteriore tempesta di commenti e condivisioni ancor più negativi dei precedenti.

Viene sostanzialmente ammessa la scorrettezza che però viene minimizzata con una certa arroganza. In più viene ricostruita temporalmente la vicenda regalando (siamo sicuri senza volerlo) una sensazione di mancanza di professionalità e di sensibilità francamente imbarazzanti: “ … per esigenze editoriali abbiamo cambiato la copertina del libro (ad ottobre) in vista di un contatto con l’artista l’autore è stato più rapido di noi e a dicembre (due mesi dopo) ci ha scritto chiedendoci un corrispettivo la trattativa si è protratta per più di un mese tra festività natalizie e problemi di coordinamento interno (!!???) … stamattina (25 gennaio) visto l’attacco mediatico ricevuto abbiamo deciso in una riunione anticipata (!!!???) di risarcire l’autore.”

Se ne avrete voglia vi lascio alla lettura dei post pubblicati che ho fotografato e ripubblicato in fondo a questo articolo: il post di Aaron Westerberg, quello della Fazi Editore e una minima serie di commenti presa a caso tra i tanti che la vicenda ha generato.

Quale potrà essere il danno economico alla Fazi Editore per questa vicenda non possiamo saperlo, certamente la corporate reputation costruita in vent’anni di lavoro ha subito un duro colpo, il tutto per una mancata gestione della crisi prima e per una gestione scellerata poi.

Oggi bisogna stare attenti la reputazione della vostra marca non è più nelle vostre mani ma in quelle dei vostri clienti. Il compito di tutte le persone che lavorano in azienda (soprattutto se si tratta di distribuzione) devono moltiplicare la propria concentrazione e sensibilità nei confronti del cliente e gli uffici di comunicazione devono avere la capacità, la professionalità e l’intelligenza di gestire gli eventi critici arginando i danni e possibilmente trasformandoli in opportunità.

Ricordiamoci sempre che la cultura giapponese scrive la parola crisi usando due ideogrammi che singolarmente significano “pericolo” e “opportunità”.

Gennaio 2017

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