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E’ nato prima l’uovo o la gallina? Un quesito dalla risposta impossibile per due realtà che sono l’una progenitrice dell’altra e viceversa.

Calandoci nel nostro mondo del bricolage ci sono due oggetti tanto strettamente legati da potersi curiosamente chiedere se sia nato prima l’uno o l’altro: stiamo parlando del trapano e del tassello. E’ nato prima il trapano o il tassello?

Naturalmente intendiamo il trapano portatile a pistola (altrimenti dovremmo risalire alla preistoria), ebbene, per pochi anni, è nato prima il tassello.

E’ il 1910 e siamo a Londra.

Giorgio V succede al padre, Edoardo VII, al trono d’Inghilterra.

In Oxford Street, che oggi con più di 300 negozi è una delle strade commerciali più famose del mondo, vengono inaugurati i Grandi Magazzini Selfridges.

Le suffragette, donne inglesi che combattevano per ottenere la possibilità di votare alle elezioni, subiscono, il 18 novembre quello che sarà definito il venerdì nero delle suffragette, con pesanti cariche della polizia durante una loro manifestazione (grazie all’impegno delle suffragette l’Inghilterra, nel 1928 sarà il primo Paese europeo a raggiungere l’uguaglianza uomo-donna in sede elettorale).

Con l’inizio del nuovo secolo si era appena conclusa la cosiddetta era vittoriana, che aveva portato Londra ad essere la più grande e popolosa metropoli del mondo, mentre l’esercito e la marina inglesi godevano di un altissimo prestigio e gli scambi commerciali all’interno dell’Impero coloniale erano fiorenti.

Tutto parte dal British Museum

Insomma era un’epoca di grande sviluppo che poteva consentire di porre attenzione anche ai particolari.

Fu così che il British Museum, quando ebbe la necessità di implementare il proprio impianto elettrico, chiamò John Joseph Rawling, ingegnere che aveva un negozio di idraulica, elettricità, costruzione e meccanica insieme al fratello, esprimendo il desiderio che il collegamento dei cavi elettrici alle pareti fosse eseguito nel modo meno invasivo possibile e senza danneggiare la muratura.

Bisogna tenere conto che all’epoca per fissare qualsiasi cosa ad una parete occorreva creare un grosso buco, riempito poi con il legno a cui si sarebbe serrata la vite.

Questo è quello che il British Museum non voleva.

La ricerca del foro invisibile

Il problema che si trovò quindi di fronte John Rawling sembrava insormontabile: c’era la necessità di avere un buco nel muro senza però avere la possibilità di farlo.

Occorreva inventarsi il “buco invisibile” e nel geniale cervello di Rawling cominciò a prendere forma l’idea che più il buco necessario era piccolo e più poteva risultare invisibile.

Però, se fare un piccolo foro nel muro non era un problema, occorreva che al suo interno ci fosse un qualcosa che consentisse un perfetto ancoraggio della vite che, nel caso del British Museum, doveva fissare i cavi elettrici alla parete.

Non poteva evidentemente essere un blocco di legno, come veniva usato fino ad allora, occorreva trovare un sistema che potesse entrare nel foro più piccolo possibile per espandersi successivamente, una volta all’interno del foro, per poter garantire la solidità dell’ancoraggio.

Doveva essere qualcosa che assomigliasse a una spina, quindi di dimensioni molto ridotte ma non in legno.

Dopo una serie di tentativi Rawling individuò la juta come materiale ideale, una fibra molto comune all’epoca e sufficientemente malleabile e robusta.

Il problema era come mettere le fibre di juta dentro a un foro e soprattutto che reggessero pesi anche significativi una volta inserita la vite. Rawling risolse il problema incollando saldamente tra di loro le fibre, dandogli una forma cilindrica in modo da facilitare l’inserimento nel foro del muro e lasciando al centro un foro per ospitare agevolmente la vite, la quale entrando avrebbe fatto naturalmente espandere le fibre incollate consentendo così il migliore ancoraggio della vite al muro.

La nascita del rawlplug

Fu un successo. I dirigenti del British Museum rimasero tanto stupiti quanto soddisfatti della soluzione trovata da Rawling, sia per la sua “invisibilità” che per la sua robustezza.

Si trattava ora di trovargli un nome e il buon Rawling, narcisista come tutti i geni dell’invenzione, decise per Rawlplug (“plug” significa “spina”). Nel 1911 la Rawling Brothers brevettò la nuova “spina ad espansione” e nel 1912 registrò il marchio Rawlplug. Nel 1919 la Rawling Brothers sarebbe diventata la Rawlpug Company Ltd e nel 1920 grazie ad un importante investimento pubblicitario riuscì a convincere la distribuzione e i consumatori dell’efficacia del suo rivoluzionario prodotto, iniziando così una produzione su larga scala.

La Rawlpug esiste ancora oggi, nel 2005 è entrata a far parte del Gruppo Koelner.

Così il marchio Rawlpug nei Paesi anglosassoni divenne, e lo è ancora oggi, sinonimo di tassello ad espansione. Non da noi in Italia, dove sono tante le persone che identificano il tassello con il marchio Fischer.

Quante volte abbiamo sentito “devo andare a comprare un paio di fischer per montare la mensola”. Sicuramente tante ed è da qui che inizia la seconda parte della storia del nostro protagonista: il tassello.

Se l’invenzione del tassello è dell’inglese Rawling, per conoscere chi ha inventato il tassello in materiale plastico, utilizzando per la prima volta il poliammide (nylon) per la sua produzione, ci dobbiamo spostare in Germania e andare a conoscere Artur Fischer.

La seconda rivoluzione nel mondo del fissaggio

Nato il 31 dicembre 1919 a Tumlingen, Artur Fischer dimostrò un talento sin da bambino per le invenzioni e le costruzioni.

Durante un’intervista rilasciata in occasione del ritiro del premio Europen Inventor Haward 2014, Artur Fischer ricorda come da bambino costruì un piccolo elicottero in legno con la pretesa di farlo volare.

Fu un fallimento, il primo ma forse anche l’unico.

Dopo gli studi e un primo impiego come carpentiere, all’età di 29 anni, nel 1948, Artur Fischer fondò la Fischerwerke creandosi così la possibilità di mettere in pratica le sue straordinarie intuizioni.

Infatti, dopo solo un anno, nel 1949 produsse il suo primo rivoluzionario prodotto che avrebbe segnato una svolta nel mercato della fotografia: si trattava del sistema di flash sincrono per le macchine fotografiche.

Molti si chiederanno che cosa ha a che fare la fotografia con il tassello, protagonista della nostra storia.

Effettivamente nulla, ma questo non è mai stato un problema per Artur Fischer che con le sue invenzioni ha spaziato in tutti i settori, registrando nel corso della sua vita più di mille brevetti.

Tra questi ovviamente c’è anche il nostro tassello in poliammide.

La sua esperienza da carpentiere evidentemente aveva lasciato il segno e soprattutto una serie di ricordi riguardo alle difficoltà che si incontravano quando si avevano necessità inerenti al fissaggio.

I rawlplug in juta di John Rawling o i tasselli in legno non erano più in grado di soddisfare le esigenze di fissaggio di un’industria edile in pieno sviluppo come era quella del dopo guerra.

Occorreva una svolta, un’intuizione.

Gli anni ’50 furono caratterizzati da un rapido sviluppo e utilizzo di una particolare famiglia di poliammidi sintetiche, nota come nylon.

Un materiale versatile, duttile e molto robusto.

Artur Fischer ebbe per primo l’intuizione di utilizzare il nylon per sostituire la juta in quel semplice ma fondamentale oggetto che è il tassello.

Era il 1958 quando la Fischerwerke rivoluziona il mercato del fissaggio con il suo leggendario tassello S.

Un anno dopo, nel 1959, Artur Fischer avrebbe incontrato alla Fiera di Colonia Paolo Morassutti, punta di diamante dell’epoca di quella famiglia Morassutti che ha fatto la storia della ferramenta in Italia: dal 1770 con la bottega per la produzione di ferri di cavallo di Antonio Morassutti, fino a quella che fu definita l’”Università della ferramenta” con una quarantina di negozi in tutta Italia e 1.700 dipendenti.

Come potevano non intendersi Artur Fischer e Paolo Morassutti? Nel dicembre del 1963 viene costituita a Padova la Fischer Italiana, un’unità produttiva che ben presto avrebbe conquistato il mercato nazionale e non solo.

Per molti anni, ma spesso ancora oggi, gli italiani hanno identificato il tassello ad espansione con il marchio Fischer.

Il Gruppo Fischer è guidato dal 1983 da Klaus Fischer, figlio di Artur e ha consolidato un fatturato di oltre 600 milioni di euro, con circa 4 mila dipendenti e 42 consociate nel mondo.

Novembre 2015

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