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Gli orti di città
Ha fatto notizia la decisione del National Trust, la Ong che si occupa della gestione del patrimonio culturale della Gran Bretagna, di assegnare appezzamenti compresi nelle terre delle dimore storiche del Regno Unito ai cittadini che hanno espresso il desiderio di coltivarsi in proprio frutta e verdura.
La decisione del National Trust è maturata di fronte ad una lista d’attesa di oltre 100 mila persone che hanno fatto richiesta di “allotment”, cioè di piccoli appezzamenti di terra ad uso agricolo spesso situati nel centro delle città.
Motivo scatenante di questa massiccia tendenza alla coltivazione di ortaggi e frutta da parte dei cittadini inglesi è probabilmente da addebitare alla crisi economica, ma non solo, come ha evidenziato Fiona Reynolds, direttrice del National Trust, si tratta di un cambio di mentalità che ha portato le persone a dare più valore alle cose “reali”, come dedicare maggior tempo alla famiglia e orientarsi verso cibo salutare, rispetto ai desideri “materiali”.
I lotti di terra saranno sono assegnati dal National Trust a pigioni molto basse e inoltre l’organizzazione mette a disposizione dei coltivatori “fai da te” agronomi ed esperti in grado di suggerire cosa e come coltivare.
Questa accelerazione tutta britannica verso gli orti in città è in realtà inserita in una tendenza presente da decenni in molti Paesi europei: in Svizzera o in Germania gli orti urbani costituiscono vere e proprie fasce verdi, in Olanda fanno parte integrante della progettazione dei grandi parchi urbani.
Negli Stati Uniti, a New York dal 1978 esiste Green Thumb, un’associazione patrocinata dal Dipartimento dei Parchi che ha l’obiettivo di risanare zone degradate riconvertendole in orti urbani, i quali forniscono prodotti ortofrutticoli per mercatini biologici comunitari.
In Italia fino alla fine degli anni ’80 gli orti in città erano malvisti ed erano sinonimo di povertà e di disordine, quasi “roba da barboni”.
Il verde in città doveva limitarsi ai parchi e ai giardini.
La rinata sensibilità verso la natura e l’alimentazione biologica hanno rivalutato finalmente la nobile attività nell’orto.
In diversi comuni, grandi e piccoli, le amministrazioni hanno destinato e stanno destinando appezzamenti di terra alla coltivazione “fai da te”, assegnandoli a basso prezzo ai cittadini.
Pioniere di questa tendenza è l’Emilia Romagna, ma anche Torino, Milano, Roma e molte città di provincia stanno lavorando in tal senso.
Un segnale è arrivato anche dall’edizione 2008 di SaieSpring della Fiera di Bologna che, nell’ambito dell’esperienza Progetti & Paesaggi ha presentato il progetto “La città degli orti”, curato dalla Cibic&Partner.
Un progetto estremamente interessante perché ha proposto l’idea dell’orto urbano come un momento estetico, di design e di integrazione del gusto moderno con la natura e i suoi frutti.
C’è anche chi è contro
“Non torniamo agli “orti di guerra”. L’agricoltura lasciamola fare ai veri produttori. Se poi i prezzi dell’ortofrutta sono onerosi, facciamo in modo che si riducano attraverso rapporti più stretti nella filiera.”
Questa è la reazione della Cia, Confederazione Italiana Agricoltori, alle notizie provenienti dalla Gran Bretagna rispetto alle destinazione di aree nei parchi cittadini a orti urbani.
“L’esperienza inglese non è una “panacea” e non è assolutamente ripetibile da noi – precisano dalla Cia -. Lasciamo stare i giardini e i parchi cittadini. Operiamo, invece, per un adeguato sviluppo del settore e per ridurre drasticamente la “forbice”, oggi molto elevata, tra i prezzi praticati sui campi e quelli al dettaglio. Tutti se ne gioverebbero, prima i consumatori e poi anche gli agricoltori.“
Non entriamo nel merito delle problematiche politiche legate alla nostra agricoltura sempre più in difficoltà.
Dobbiamo però sottolineare come l’esperienza degli orti urbani non si limiti al risparmio, ma si estende a logiche di socialità, di cultura del territorio e di corretta educazione ambientale: non si vive di sole patate.
Per concludere dobbiamo forzatamente giudicare odiosa l’allusione che la Cia ha voluto fare agli “orti di guerra”, inventati dal fascismo durante il secondo conflitto mondiale, per far fronte alla grande mole di importazioni di prodotti agricoli dall’estero.
Marzo 2009
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