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Capitolo 5. Il contesto storico in cui nasce il fai-da-te italiano

a cura di Bricoliamo.com Avatar photo

Il fai da te italiano percorre i suoi primi dieci anni (1974-1984) di crescita, e di crescita si trattò per davvero, caratterizzandosi su un livello di manualità molto elevata, troppo elevata per poter coinvolgere un pubblico di massa.

Sostanzialmente i manager che gestirono l’impostazione della filosofia e delle strategie del mercato nella sua accezione più globale, pensarono di poter inquadrare la pratica del fai da te sotto la voce hobby, facendo emergere con grande forza la lavorazione del legno.

Dalle pipe in radica ai mobili e mobiletti per la casa.

Secondo questa filosofia sarebbero dovuti entrare nelle case degli italiani non solo il trapano, magari con tutti i suoi accessori, ma anche il tornio, la fresatrice, la smerigliatrice o, meglio ancora la cosiddetta “combinata” cioè una macchina che consente, a seconda del modello, fino a sette diversi tipi di lavorazioni del legno, dotate quindi di carrello per squadratura e tenonatura, pialla a filo, pialla a spessore, toupie, sega circolare inclinabile e cavatrice.

Macchine che di solito vediamo nelle falegnamerie o nelle industrie di mobili.

A quel tempo alcune aziende ci credettero sul serio tanto che una nota marca attivò una campagna pubblicitaria piuttosto importante per l’epoca e per il settore, per promuovere una piccola combinata da salotto, contenuta in un mobile in legno che, una volta richiuso dopo l’uso della macchina, poteva essere un elemento dell’arredo della casa.

Intendiamoci, non bisogna pensare che gli operatori e i manager dell’epoca fossero improvvisamente impazziti trasformando le loro allucinazioni di un popolo di mobilieri e intarsiatori in strategie di marketing.

Bisogna tenere in debito conto che nella prima metà degli anni ’70 quello del fai da te era un mercato che partiva da zero ma su un tessuto già presente e radicato.

Persone che per hobby lavoravano il legno o si impegnavano in lavoretti più o meno complessi esistevano naturalmente.

La nascita del fai da te in quanto pratica “ufficiale” semplicemente li inquadrò, li fece diventare un target di riferimento.

E’ evidente che la rapidità con cui si arrivò dallo zero al cento mila (numero di copie vendute dalle riviste Fai da Te e Far da Sé e numero di visitatori delle prime edizioni del Salone Internazionale del Fai da Te di Milano), fece pensare a molti che in Italia era nato un mercato dalle potenzialità straordinarie.

Alla luce dei fatti, sappiamo che non è poi andata così: gli hobbisti del legno e dei lavori di un certo livello, centomila erano e probabilmente centomila sono rimasti, il fai da te di “massa” si è dovuto evolvere in bricolage modificando profondamente la propria filosofia e interpretazione, ma di questo parlerò più avanti.

Un importante contributo all’abbaglio di un fai da te diffuso e praticato fu anche offerto dalla situazione politica ed economica del momento.

E’ del 1973 infatti la drastica riduzione dei barili di petrolio estratti dai Paesi dell’OPEC e il conseguente e importante rincaro del prezzo del greggio. Iniziarono gli anni dell’austerity, dei blocchi della circolazione dei veicoli a motore, delle domeniche in bicicletta.

La parola d’ordine era risparmio energetico.

Le piazze erano quotidianamente assediate dall’impegno politico e sociale dei giovani, degli studenti, degli operai e delle donne femministe.

L’impegno, o meglio l’attenzione per la politica e per le spinte al rinnovamento sociale urlate dagli studenti coinvolgevano anche ampie fasce degli intellettuali e della tanto odiata borghesia dell’epoca, tanto da arrivare, alle elezioni politiche del 1976, a sfiorare il sorpasso del Partito Comunista ai danni dell’inossidabile, fino ad allora, Democrazia Cristiana.

Non accadde: il PCI raggiunse la percentuale record del 34,4%, ma la DC riuscì a spuntarla con un 38,7%.

La produzione cinematografica, specchio della società in cui e per cui opera, era nettamente divisa in due filoni: il cinema dell’impegno, con film come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970 – Oscar come migliore film straniero); “La classe operaia va in paradiso” (1972); “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” (1974); “Salò e le ultime 120 giornate di Sodomia” (1975); “Borghese piccolo piccolo” (1977); “Ecce bombo” (1978) e il cinema, poi definito trash, della commedia sexy all’italiana, che trovò un suo punto di partenza nel film “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” (1972) di Massimo Laurenti con una bellissima Edwige Fenech e che, fino ai primi anni ’80 si dipanò tra segretarie, infermiere, insegnanti, soldatesse e poliziotte, naturalmente tutte nude e tutte calde.

Erano gli anni del terrorismo rosso e nero, delle stragi, delle bombe, della strategia della tensione, delle Brigate Rosse e del rapimento Moro.

Il 16 marzo 1978 alle nove e un quarto di mattina Aldo Moro viene rapito in via Fani a Roma da un commando di brigatisti.

Avrebbe dovuto partecipare di lì a poche ore, a Montecitorio, al dibattito sulla fiducia al quarto Governo Andreotti.

Nell’agguato vengono uccisi i carabinieri Domenico Ricci, Oreste Leonardi e i tre poliziotti dell’auto di scorta Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.

Il 9 maggio 1978 alla una e mezza del pomeriggio Aldo Moro viene trovato morto, nel baule di una Renault 4 rossa, in via Caetani, a metà strada tra le sedi nazionali del PCI e della DC.

Un dramma che chiuse definitivamente un’epoca.

Negli anni ’80 si parlerà di riflusso, di ritorno al privato, di allontanamento dalla politica.

Nel 1981 Ronald Reagan viene eletto presidente degli Stati Uniti. Nello stesso anno l’IBM presenta il primo personal computer con 54 RAM di memoria e un floppy disk da 5,25 pollici.

Nel 1980 Silvio Berlusconi trasforma la TV via cavo di Milano2 (TeleMilano) in una rete nazionale con il nome di Canale 5. Nel 1982 acquisterà Italia 1 da Rusconi e nel 1984 Rete 4 da Mondadori.

Nel 1984 si insedia il primo governo a guida socialista: Bettino Craxi è il presidente del Consiglio.

La città di Milano, con i sindaci socialisti, Carlo Tognoli prima (1976/1986) e Paolo Pillitteri poi (1986/1992), diventa la “Milano da bere”.

Nel 1983 Umberto Bossi fonda la Lega Lombarda e ne diviene il segretario. Il cosiddetto edonismo reaganiano segnò la fine della politica e dell’ideologia aprendo l’era dell’estetica e promuovendo una corrente di pensiero che metteva al centro l’esibizione nei luoghi privilegiati della propria condizione umana, attraverso simboli codificati: le griffe diventano status symbol.

In questo contesto il fai da te non riesce a penetrare a livello di massa, ne negli anni dell’impegno, quando avrebbe potuto essere una risposta al contestato consumismo e alla logica del risparmio suggerita dall’austerity, e nemmeno negli anni del riflusso quando, la riscoperta del privato portò gli italiani ad uscire di casa e non a chiudersi in laboratorio per lavorare il legno.

Il fai da te si era costruito un proprio pubblico, sicuramente fedele, impegnato e con una forte propensione alla spesa, ma troppo esiguo numericamente per diventare un vero fenomeno di mercato.

In Italia non c’è mai stato il tanto evocato boom del fai da te. Il problema, dal mio punto di vista, è da ricercare in una impostazione e una filosofia di approccio troppo “hobbista“, troppo tecnica e pretenziosa rispetto alle reali possibilità e conoscenze della maggioranza degli italiani.

Una strategia di approccio che tenne lontana la donna e il “pubblico generico” dei non tecnicamente acculturati.

Invece di porre al centro dell’attenzione l’occupazione del tempo libero con un’attività, quella del fai da te, proficua, attiva e remunerativa, meglio sarebbe stato porre al centro dell’attenzione la casa.

La casa in quanto abitazione (confort, risparmio, manutenzione) e la casa in quanto status symbol da mostrare e da vivere insieme agli amici (colore, design, miglioramento).

Con la casa naturalmente sarebbe stato opportuno mettere al centro anche il nucleo famigliare, sia come complesso sociale tradizionale, con le sue singole individualità: il marito, la moglie, il figlio, ma anche tenendo conto dello sviluppo che la società italiana stava già ampiamente manifestando (calo della natalità, crescita del numero di single, crollo delle famiglie allargate). Una semplice consultazione dei dati Istat avrebbe potuto fare luce su quelli che avrebbero potuto essere gli orientamenti del presente e del futuro della società italiana e dei suoi consumi.

Questo genere di analisi arrivarono solo negli anni ’90 con la crescita della grande distribuzione specializzata nel bricolage, che iniziò ad accogliere volentieri anche la donna e tutte quelle pratiche di fai da te più “leggere” e orientate all’abbellimento della casa.

Proporzione di famiglie, per tipo, ai censimenti dal 1951 al 1991 (valori %)

Anni
Censimenti
Famiglie
Unipersonali
Coppie
senza figli
Coppie
con figli
Famiglie estese
e allargate
1951 10,6011,30 55,60 22,50 
196111,50 13,40 55,80 19,30 
1971 13,50 15,50 54,10 16,90 
198118,40 17,10 53,10 11,20 
199123,40 21,50 48,80 6,70 

Fonte: ISTAT

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